Assistenza anziani: i benefici delle cure a domicilio

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La popolazione italiana è caratterizzata da un elevato numero di over 65, situazione che porta sempre più famiglie a doversi interfacciare con l’assistenza agli anziani, nella maggior parte dei casi a domicilio.

Si tratta di famiglie che si imbattono in numerosi interrogativi e problematiche, prima tra tutte la gestione dei percorsi di cura da patologie croniche tipiche della terza età.

Una soluzione, spesso presa in considerazione, è l’assistenza domiciliare.

Cure a domicilio: quali sono i benefici?

Dai risultati di alcune statistiche è emerso che, potendo scegliere, gli anziani preferiscono essere curati nelle loro case anziché in strutture dedicate e specializzate.

L’assistenza domiciliare pone al primo posto:

  • l’assistenza al paziente;
  • il controllo del dolore e dei sintomi;
  • il supporto psicologico;
  • la riabilitazione; 
  • l’assistenza sociale. 

Tutto disegnato su misura per ogni singolo paziente.

In questo modo, i benefici riscontrati sono diversi sia sotto un punto di vista psicologico che sotto un punto di vista fisico.

Primo tra tutti il sentirsi a casa, percezione che incentiva il senso di protezione e di serenità nell’anziano.

Inoltre, l’assistenza a domicilio consente una gestione più semplice da parte dei familiari, che possono stare vicini al loro affetto.

Dunque, la casa risulta essere il luogo ideale in cui ricevere i trattamenti e le terapie mediche elargite dal personale specializzato.

È chiaro a tutti che, al contrario, il trasferimento in una struttura sconosciuta può rappresentare un vero e proprio trauma per l’anziano, a maggior ragione se si ha a che fare con demenze o altre patologie neurodegenerative.

Stravolgere le abitudini, perdere i punti di riferimento e dover ricominciare tutto daccapo può causare risultati tutt’altro che positivi.

Grazie all’assistenza domiciliare, invece, l’anziano non sarà sottoposto ad alcun tipo di stress e potrà continuare a vivere in un ambiente caldo e familiare.

Perché prendere in considerazione le cure a domicilio?

Oggi più che mai, l’assistenza domiciliare è diventata di fondamentale importanza per gli anziani.

Soprattutto con l’arrivo della pandemia, aver avuto la possibilità di essere accuditi tra le mura domestiche ha fatto davvero la differenza, oltre ad aver limitato i rischi di contagio.

Infatti, sempre più famiglie italiane scelgono di affidarsi a questa tipologia di trattamento.

Innanzitutto, quando si parla di assistenza a domicilio, è bene evidenziare il grande risparmio di costi da parte del Servizio Sanitario Ospedaliero.

Ma gli aspetti positivi non finiscono qui: quando si parla di problematiche serie di salute degli anziani, svolge un ruolo centrale il rischio delle infezioni ospedaliere.

Un batterio che colpisce in modo più frequente i soggetti anziani ricoverati in strutture ospedaliere è il Clostridium difficile.

È bene far presente che contrarre un’infezione significa innanzitutto aumentare i tempi di ricovero, con un ovvio impatto sulla spesa sanitaria, ma, in situazioni estreme, può significare morte, causata alla compromissione delle funzionalità intestinali dovute all’infiammazione.

Le cure a domicilio di Sant’Anna 1984

Sant’Anna 1984 è una realtà che mette al primo posto il benessere dell’anziano.

Il nostro team è costituito da professionisti specializzati e sempre al passo con le novità, grazie ai numerosi corsi di aggiornamento che frequentano con costanza.

Per loro, prendersi cura della salute di un anziano significa farlo in maniera olistica, seguendo le sue esigenze e migliorando, così, il suo stile di vita.

Per noi l’assistenza domiciliare si traduce in due principi fondamentali: saper intervenire in caso di necessità legate a malattie o infortuni e prestare assistenza di base all’anziano, occupandosi della casa e tenendogli compagnia.

In questo modo consentiamo anche ai familiari una certa serenità, generata dalla consapevolezza di sapere i propri cari nelle proprie case, e, al tempo stesso, seguiti e monitorati sotto l’aspetto sanitario.

Tutto questo è reso possibile anche grazie al grande scambio di informazioni tra i familiari e i nostri operatori.

Infatti, ogni giorno viene condiviso con la famiglia il diario del giorno, dove vengono inserite tutte le attività svolte con l’anziano.

Affidarsi a Sant’Anna 1984 vuol dire mettere il proprio caro in mani specializzate e qualificate, che se ne prendono cura in ogni singolo istante.

Doll Therapy: la terapia della bambola contro la demenza senile

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La Doll Therapy è una terapia alternativa e complementare alle cure farmacologiche con cui vengono trattate le persone affette da patologie neurodegenerative, come la demenza senile e l’Alzheimer.

Lo scopo di questo trattamento è aiutare a gestire i comportamenti emotivi a rischio, perché è in grado di migliorare la salute psicofisica del paziente.

Le origini della Doll Therapy

La Doll Therapy è nata alla fine degli anni 90’ in Svezia, grazie a un’idea della psicoterapeuta Britt Marie Egedius Jakobsson.

Questa terapia è stata concepita dal bisogno della psicoterapeuta di creare uno strumento comunicativo con il figlio, affetto da autismo.

Britt Marie, vedendo gli effetti benefici della terapia, ha deciso poi di metterla a disposizione della Scienza, per aiutare milioni di famiglie nella sua stessa situazione.

Queste bambole, chiamate “Joyk”, sono oggi considerate di notevole importanza per stimolare l’empatia e le emozioni dei bambini e degli adulti affetti da problemi cognitivi e comportamentali.

Infatti, oltre che per l’autismo, la terapia è stata introdotta come cura complementare per molte altre patologie neurodegenerative, come il morbo di Parkinson, la demenza e l’Alzheimer.

La terapia della bambola e la teoria dell’attaccamento

Il concetto terapeutico della Doll Therapy si basa sulla teoria dell’attaccamento.

Sebbene questa teoria si riferisca generalmente ai bambini, alcuni studiosi hanno potuto constatare la sua efficacia anche alle persone con demenza.

Negli anni ‘60, lo psicologo John Bowlby ha formulato a riguardo una teoria.

Durante alcuni studi circa la psicologia infantile, si accorse di una costante ricerca di un contatto reciproco tra il bambino e i genitori, dettato da un istinto primordiale dell’uomo

Istinto che evolve nel tempo in una vera e propria forma di attaccamento verso l’altra persona. 

Questo sentimento può essere amplificato anche attraverso l’utilizzo di un oggetto. 

Da qui, gli studi sulla Doll Therapy.

Doll Therapy: come funziona?

A questo punto la domanda sorge spontanea: come può una bambola trasformarsi da semplice giocattolo a strumento terapeutico?

È fondamentale chiarire che si tratta di bambole specifiche, con caratteristiche particolari che le differenziano dai giocattoli comuni: 

sono speciali nel peso, nelle dimensioni, nei tratti somatici e persino nella posizione di braccia e gambe.

Sono state progettate in modo minuzioso, col fine di stimolare e favorire l’espressione delle emozioni.

Il loro sguardo, la loro pelle morbida e i loro capelli sbarazzini sono tutte caratteristiche che favoriscono la costruzione di un legame empatico con il paziente.

Questa bambola, in modo graduale, acquista un significato simbolico, in grado di aiutare il benessere del paziente.

I benefici tratti dalla Doll Therapy

Quando si ha a che fare con pazienti affetti da demenza, si ha la tendenza a scegliere metodi che aiutano a stimolare le abilità affettive e cognitive, proprio come la Doll Therapy.

Infatti, proprio grazie a questa terapia, la persona riesce a instaurare un rapporto di fiducia con la bambola.

In questo modo, quest’ultima diventa oggetto simbolico in cui riversare il proprio desiderio primordiale di accudimento.

La Doll Therapy ha il grande potere di risvegliare le emozioni del passato, creando empatia e genitorialità, un’ottima via di fuga dal presente che invece è scandito, il più delle volte, da confusione e paura.

In questo modo, la persona affetta da demenza torna a sentirsi utile e riacquisisce maggior fiducia non solo in se stessa, ma anche nei confronti degli altri.

Gli effetti positivi della Doll Therapy sono tantissimi:

  • riduzione delle manifestazioni aggressive;
  • gestione di ansia e agitazione;
  • riduzione dell’uso di farmaci sedativi;
  • risposta agli stimoli emotivi-affettivi.

È possibile dunque affermare che queste bambole si sono dimostrate più che efficaci nel trattamento dei pazienti affetti da demenza.

Per un caregiver è molto importante avere piena consapevolezza di tutte le piccole sfumature che sono in grado di supportare e sostenere a pieno i suoi assistiti.

Proprio per questo motivo tutti i nostri operatori, con l’avanzare delle conoscenze scientifiche, ricevono costanti aggiornamenti e formazioni.

Affidarsi a Sant’Anna 1984 significa affidarsi alle mani di operatori esperti, che ogni giorno dimostrano la loro grande professionalità e umanità.

Esiste un farmaco contro l’Alzheimer?

farmaco contro l'alzheimer

L’Alzheimer è una malattia per cui ad oggi non esiste un farmaco, che comporta una progressiva perdita della funzione mentale con degenerazione del tessuto cerebrale, in cui si verifica l’accumulo di una proteina chiamata beta-amiloide.

L’Italia si posiziona all’ottavo posto tra i paesi con il maggior numero di persone affette da questo morbo: se ne contano oltre 600.000.

È molto raro riscontrare la demenza di Alzheimer prima dei 65 anni, poiché diventa più frequente con l’avanzare dell’età.

Il suo decorso è lento e cambia da persona a persona, con una media di vita che può variare tra gli 8 e i 10 anni dopo la sua diagnosi.

La domanda che sorge spontanea a chiunque si ritrovi faccia a faccia con questa malattia è: esiste un modo per contrastare l’Alzheimer?

Ne parliamo in questo articolo.

Alzheimer: l’approvazione del primo farmaco contro la malattia

Per rispondere alla domanda iniziale, sì: oggi possiamo dire che esiste un farmaco in grado di contrastare l’Alzheimer.

Dopo 20 anni di lunghe ricerche, infatti, la FDA (Food and Drug Administration) ha approvato il farmaco Aduhelm (meglio conosciuto con il suo nome generico, Aducanumab).

L’approvazione di questo farmaco ha rappresentato un grande passo avanti per la medicina, oltre alla speranza di guarigione per tutti i malati di Alzheimer.

Il compito di questo primo farmaco è quello di intervenire in modo diretto sulle cause della malattia, rallentando il suo decorso.

Una terapia innovativa che agisce sui meccanismi fisiologici che causano il morbo attraverso un’iniezione endovenosa una volta al mese.

Ad ogni modo, per il momento, la terapia viene somministrata solo ai pazienti che si trovano in uno stadio di demenza iniziale.

La terapia per l’Alzheimer come il “sacro Graal” della medicina

Negli anni, i tentativi di sviluppare una terapia contro l’Alzheimer sono stati molteplici: circa 400 fallimenti di test clinici sull’uomo.

Si è pensato persino di prendere in considerazione l’idea di abbandonare del tutto la ricerca in questo campo.

Lo stesso test di Aducanumab era stato considerato fallito in un primo momento, prima che ulteriori studi e analisi dimostrassero un certo beneficio sulla malattia al suo stadio iniziale.

Paolo Maria Rossini, responsabile del Dipartimento di Scienze neurologiche e riabilitative dell’IRCCS San Raffaele Roma, ha dichiarato infatti che Aducanumab non è adatto a tutti i malati di Alzheimer.

Il motivo è legato al fatto che, nonostante sia in grado di interferire con la proteina beta-amiloide, il farmaco potrebbe scatenare diversi effetti collaterali, come micro-emorragie cerebrali.

L’approvazione di questo farmaco ha permesso di aprire nuove aspettative di cura per i milioni di pazienti in tutto il mondo che soffrono di questa grave patologia.

Il farmaco è stato approvato avvalendosi del percorso di approvazione accelerata, che può essere utilizzato nel caso in cui un trattamento per una malattia grave o letale è in grado di fornire vantaggi terapeutici significativi rispetto ai trattamenti esistenti.

Dal momento che, ad oggi, tutte le terapie disponibili trattano soltanto i sintomi, Aducanumab risulta essere il primo trattamento approvato per rallentare la progressione della malattia.

Alzheimer: come comportarsi con gli anziani

A prescindere dal farmaco o meno, per rendere il decorso della malattia meno pesante possibile, è possibile mettere in campo delle piccole accortezze per aiutare la persona affetta da Alzheimer.

Il primo passo è di certo quello di assicurargli un supporto ottimale, anche se spesso non è facile.

Un aspetto fondamentale da considerare riguarda l’organizzazione dell’abitazione, che deve essere curata il più possibile per consentire l’autonomia dell’anziano.

In particolare, bisogna eliminare tutti gli oggetti e le situazioni che possono facilitare il rischio di caduta o di trauma, favorendo spazi di supporto specifici come appoggi sicuri in bagno e lungo le scale.

È necessario controllare anche che sedie, divani e poltrone siano stabili, non troppo bassi e privi di cuscini che possono mettere in pericolo l’anziano.

Inoltre, bisogna prestare particolare attenzione a stress e traumi: l’anziano affetto da demenza soffre qualsiasi cambiamento di luogo e di abitudine, motivo per cui bisogna cercare di lasciarlo il più possibile in un ambiente familiare.

Di conseguenza, in situazioni come queste è molto più consigliata l’assistenza domiciliare rispetto al ricovero in struttura, così da salvaguardare l’orientamento spazio-temporale che, altrimenti, produrrebbe effetti negativi sulla funzionalità dell’anziano.

Inoltre, è molto utile promuovere e assecondare, per quanto possibile, l’attività fisica.

Una buona idea è quella di proporre all’anziano passeggiate all’aria aperta in diverse ore della giornata, per facilitare e regolare il ciclo sonno-veglia.

Infine, anche la comunicazione svolge un ruolo di fondamentale importanza: quando si ha a che fare con un paziente affetto da demenza, bisogna prediligere la pazienza e la gentilezza.

È essenziale l’utilizzo di frasi semplici e dirette ed è preferibile accompagnare al dialogo una giusta gestualità per aiutare la comprensione.

Gli operatori di Sant’Anna 1984 conoscono bene tutte queste accortezze, infatti hanno sempre dimostrato grande professionalità e competenza in questo campo così delicato. 

Grazie ai loro piccoli ma grandi accorgimenti quotidiani, riescono a stabilire un forte legame con l’assistito, aiutandolo a trascorrere le sue giornate nella maniera migliore possibile: con amore, pazienza ed empatia.

Ipocondria senile: cos’è e come curarla

ipocondria negli anziani

Quando si parla di Ipocondria senile, si fa riferimento ad uno specifico disturbo psichico che riguarda le persone in età avanzata. Si tratta di uno stato di paranoia costante, in cui l’anziano si convince di essere affetto da più malattia contemporaneamente, sulla base di una valutazione, molto spesso errata, di alcuni sintomi.

L’anziano finisce quindi in una spirale ossessiva, che non va che aggravare il disturbo, producendo numerosi effetti psicosomatici sul corpo.

Ma da cosa di origina questo stato di paranoia costante?

Vediamo quali sono le cause principali.

Ipocondria senile: le cause principali del disturbo

L’ipocondria senile tende a svilupparsi maggiormente negli anziani che già hanno un equilibrio psichico fragile. Se quindi siamo in presenza di ansia, depressione e malessere psico-fisico generalizzato, è molto probabile che possa innescarsi l’ipocondria.

Troppo spesso, infatti, si tende a considerare l’umore scuro e triste degli anziani come normale, come un fenomeno fisiologico dell’ultima fase della vita, a cui non rimane che rassegnarsi. In realtà, la depressione non è affatto da sottovalutare, in quanto può compromettere seriamente il benessere dell’anziano sotto ogni punto di vista, andando a influire anche sull’aspettativa di vita.

I dati ci dicono che la depressione è molto diffusa nella popolazione over 65, con un 4% di soggetti che mostrano sintomi piuttosto gravi.

I più frequenti sono:

  • tristezza;
  • perdita di interesse;
  • isolamento sociale;
  • clinofilia (cioè il desiderio di passare molto tempo a letto anche senza dormire).

Tutti questi sintomi vengono spesso amplificati dalla difficoltà che gli anziani hanno nel verbalizzare il loro stato d’animo, per paura di non essere capiti o derisi; questo conduce ad una somatizzazione profonda del loro disagio, che si riflette in modo molto negativo sul corpo, scatenando anche una sintomatologia organica, soprattutto di tipo gastro-intestinale, che, nei casi più gravi, sfocia in un vero e proprio delirio ipocondriaco.

Questo perenne stato di angoscia non fa altro che incidere in maniera semore più negativa sullo stato reale di salute e sulla qualità di vita del paziente.

Non bisogna dimenticare, inoltre, che al di là del normale decadimento fisico associato all’età, anche la sfera sociale inizia ad impoverirsi. Dal momento in cui la persona diventa pensionata, l’insorgenza della depressione diventa sempre più probabile, in quanto la cerchia sociale si restringe, le occasioni di uscire e trovare uno scopo alternativo diminuiscono, si smette di sentirsi utili e produttivi.

A ciò si aggiunge un fisiologico aumento dei lutti all’interno della cerchia familiare e amicale, che peggiorano ancora di più la qualità dell’equilibrio emotivo. Questo significa che l’avanzare dell’età coincide con l’aumento della solitudine, generando così una maggiore sensibilità e fragilità nelle persone anziane verso i disturbi dell’umore.

Ipocondria senile: come riconoscere un’emergenza vera da un delirio ipocondriaco

Uno degli aspetti più complessi da gestire negli anziani che soffrono di ipocondria è il riconoscimento di una vera emergenza di salute dalla paura irrazionale di essere affetti da qualche malattia. In situazioni in cui l’ipocondria è già ben sviluppata, l’anziano tende a lamentarsi di frequente con i familiari o con le persone che lo assistono, causando spesso preoccupazione in modo ingiustificato.

Il ripetersi di questi episodi nel tempo rischia di minare la fiducia nei confronti dell’anziano, creando negli assistenti la convinzione che si tratti ormai solo di paure infondate. Questo produce danni su due fronti: da un lato, peggiora la qualità dei rapporti con la cerchia più ristretta della persona anziana e dall’altra espone al rischio che una vera emergenza medica non venga riconosciuta nel marasma delle tante paure.

Bisogna sempre tenere presente, quando si assiste un anziano, che gli allarmi con cui vengono manifestate queste preoccupazioni hanno lo scopo, quasi sempre inconscio, di richiamare l’attenzione di chi li accudisce, provocando diverse difficoltà per i caregiver, proprio perché diventa difficile capire quando è reale e quando no.

Gli psicologi che si sono occupati dello studio di questa condizione hanno notato che non sempre è facile adottare un comportamento adeguato con l’anziano, ma è sempre e comunque consigliato mantenere la calma quando si è in compagnia dell’anziano agitato, cercando di non sottolineare mai la natura ipocondriaca della lamentela.

Per rendersi conto o meno se si tratta di un’emergenza medica, occorre passare un po’ di tempo con l’anziano, monitorando l’andamento dei sintomi. Se tende a calmarsi e a sentirsi meglio, si può tirare un sospiro di sollievo, mentre se, anche con la presenza del caregiver, i sintomi non accennano a migliorare, è opportuno consultare il medico o andare al Pronto Soccorso.

Ipocondria senile: come comportarsi con gli anziani

Quando ci si trova davanti ad un anziano che presenta un reale problema di salute, è naturale allarmarsi e ricorrere all’aiuto del medico, ma è importante non assecondare sempre la paranoia dell’anziano, organizzando una visita medica per ogni singolo disturbo.

Se si è certi dell’infondatezza di tali manifestazioni, l’ideale sarebbe cercare di far comprendere all’anziano che non c’è nessun grave problema e che non è necessario alcun controllo medico.

Questo è un modo per renderlo, per quanto possibile, consapevole della realtà e dell’evidenza dei fatti. In questa fase è di cruciale importanza non perdere la pazienza, bisogna rimanere calmi e non sottolineare mai la natura ipocondriaca di certi atteggiamenti, perché altrimenti significherebbe porre l’accento sul problema e generare nuova ansia.

Non sempre però è così semplice riuscirci, proprio perché l’anziano è vittima delle sue stesse suggestioni e quindi tende a negare la realtà. In questo caso può essere di grande aiuto rivolgersi ad uno psicologo, il quale, con il suo intervento, può aiutare il paziente a rapportarsi al meglio con le sue paure e a tenerle sotto controllo.

È molto importante anche la posizione presa dai caregiver riguardo alla situazione. Spesso c’è la radicata convinzione che l’assistito non possa in alcun modo modificare il suo punto di vista e i suoi comportamenti. Questo è del tutto sbagliato e gli operatori di Sant’Anna 1984 lo sanno molto bene.

I nostri caregiver dimostrano sempre assoluta fiducia nei loro assistiti e proprio per questo ogni giorno adottano dei piccoli trucchetti per soddisfare il bisogno di attenzione, senza però caderne vittime. Grazie a dei piccoli accorgimenti quotidiani volti a ridurre lo stress, i dolori e la stanchezza, possono contribuire a migliorare le loro giornate.

Aiutandoli e dimostrandogli che non gli sta accadendo nulla di male, attraverso le loro rassicurazioni i pazienti si sentono amati e al sicuro. Alcune volte basta davvero poco per far capire agli anziani che esiste una soluzione al loro problema, senza ricorrere alle cure mediche.

Attraverso l’amore, l’empatia, la pazienza e la professionalità, i nostri operatori si contraddistinguono e riescono a lasciare il segno nei cuori non solo dei pazienti ma anche di tutti i familiari.

Fumatori anziani: i danni del fumo in età avanzata

danni da fumo negli anziani

In Italia il 9,8% degli anziani over 65 sono fumatori. È risaputo che il fumo è dannoso per chiunque, ma con il progredire dell’età diventa ancora più impattante sulla salute, tanto da essere considerato come una delle principali cause di morte prematura, soprattutto per le persone di mezza età.

Nonostante ciò, non sono ancora stati ben quantificati i danni che il fumo può provocare ad una persona anziana e spesso questa mancanza di informazioni non fa altro che favorire un’antica credenza: “quel che è fatto è fatto!”.

Parliamo, appunto, della convinzione che se una persona sopra i 60 o 70 anni, continua a fumare allora non vale la pena tentare di farla smettere.

In realtà, si tratta di un atteggiamento deleterio. Sono infatti moltissimi i benefici gli anziani possono ottenere smettendo di fumare, anche in età avanzata.

Fumatori anziani: cosa dicono i numeri

Una ricerca recente ha analizzato i dati di 22 studi effettuati sulla popolazione di vari paesi europei e negli Stati Uniti. Attraverso un’analisi statistica, si è riusciti a calcolare e a portare alla luce i rischi relativi alla mortalità da fumo e il tempo di anticipazione della stessa.

A conclusione dello studio, i ricercatori hanno stabilito che, rispetto ai non fumatori, i fumatori avevano un rischio di morire prematuramente superiore di 2,7 volte. Sulla base dei risultati di queste ricerche, sono stati effettuati ulteriori approfondimenti che sono riusciti a evidenziare che la supermortalità dei fumatori tra le persone anziane è legata tanto alle malattie cardiovascolari quanto ai tumori.

Ecco che quindi diventa lampante che il fumo rimane un alto fattore di rischio anche dopo i 60 anni, per cui gli sforzi per ridurre il fumo e promuoverne la cessazione tra gli anziani si tradurrebbe in una grande vittoria in termini di salute pubblica.

Fumatori anziani: i sintomi che si sottovalutano

“Fumo ma sto bene” è la classica frase dei soggetti fumatori che si sentono in salute e non ne voglio sapere di riconoscere la pericolosità del loro comportamento. Sono circa 9 milioni gli italiani fumatori colpiti da patologie polmonari non diagnosticate, che, però, potrebbero peggiorare con il trascorrere degli anni.

È molto più frequente di quel che si pensa imbattersi in fumatori che sostengono di godere di buona salute, che poi però si vedono costretti a ricredersi qualche anno dopo; o, viceversa, che mostrano sintomi ritenuti innocenti o normali, soprattutto in età avanzata, come tosse, catarro o mancanza di respiro.

In realtà questi sono i primi campanelli d’allarme dell’avanzare di una malattia respiratoria, cardiovascolare, metabolica o, nei casi più gravi, di un tumore.

Fumatori anziani: il tabacco è la prima causa di morte in Italia

I numeri parlano chiaro e non lasciano scampo. Il tabacco in Italia è la principale causa di morte ed è il responsabile di quasi 83 mila decessi l’anno, di cui più di un quarto riguarda persone della terza età. Le sigarette provocano più decessi dell’alcol, delle droghe, degli incidenti stradali, dei suicidi e degli omicidi, tutti messi insieme.

È un fenomeno talmente tanto pericoloso che l’Organizzazione Mondiale della Sanità lo ha più volte sottolineato, descrivendo il tabacco come una delle sfide di sanità pubblica più grandi della storia.

Non bisogna mai dimenticare che il fumo è responsabile di:

  • diversi tipi di cancro;
  • gravi malattie cardiovascolari;
  • gravi malattie polmonari;
  • diabete di tipo 2;
  • cataratta;
  • artrite reumatoide;
  • degenerazione maculare.

È una lunga lista di malattie di cui, gran parte, peggiorano con l’avanzare dell’età. Inoltre, fare uso di tabacco significa anche aggravare le patologie già esistenti, magari legate proprio alla vecchiaia, con il rischio di farle diventare croniche.

È chiaro che tutti i fumatori sono a rischio, ma il rischio peggiore ricade proprio nella categoria più fragile, gli anziani. Il primo passo, quindi, è smettere di fumare. Per gli anziani rinunciare al fumo può rivelarsi molto più complesso che per i giovani, perché lo ritengono uno dei pochi piaceri che gli rimane.

Per questo, oltre al supporto della famiglia, fondamentale in questi casi, è possibile ricorrere anche a farmaci e a terapie specifiche che possono aiutare a raggiungere l’obiettivo, in quanto i benefici di una vita senza fumo sono apprezzabili fin da subito per gli anziani.

Innanzitutto smettere di fumare comporta un calo drastico del rischio di ammalarsi e, cosa molto importante, potenzia la risposta ai farmaci necessari per combattere malattie croniche già esistenti, come scompensi cardiaci, ischemie e broncopneumopatia cronica ostruttiva.

Fumatori anziani: l’approccio di Sant’Anna 1984

Noi di Sant’Anna 1984 abbiamo piena consapevolezza dei rischi legati al fumo, soprattutto se i soggetti sono anziani, peggio ancora se con patologie annesse. Per questo motivo è nostra premura che i nostri assistiti capiscano il reale pericolo di questo gesto, cercando di accompagnarli in una strada differente.

Prima di tutto cerchiamo di individuare i segnali che riteniamo sospetti: il più importante fra tutti è il fiatone, ma anche tosse stizzosa o cronica, mancanza di energia e disordini del sonno. Sono tutti campanelli che ci fanno pensare che può esserci qualche problema, anche se silente.

La nostra filosofia è sempre quella di coinvolgere i nostri assistiti, piuttosto che imporgli nuove abitudini e comportamenti ed è così che i nostri operatori riescono ad instaurare sempre di più un rapporto basato sulla fiducia e, per quanto possono, lottano affinché il paziente capisca il reale pericolo e si impegni per smettere di fumare.

Fumare fa male sempre ma, ancor di più ai tempi di Covid- 19, la possibilità di finire in ossigenoterapia continua è un rischio che non vogliamo far correre ai nostri pazienti.

Sappiamo molto bene quanto sia importante questo messaggio, perché siamo certi che l’aumento delle persone che smettono di fumare è la chiave per ridurre in maniera drastica il numero complessivo, troppo alto, dei morti associati al tabacco.

Rivolgersi a Sant’Anna 1984 significa quindi affidare i propri cari alle cure di operatori con una grande preparazione, in grado di affrontare con serenità tutte le difficoltà che si presentano.

Anziani e disturbi del sonno: come affrontarli e prevenirli

Disturbi del sonno negli anziani

Negli anziani i disturbi del sonno sono molto frequenti. In primo luogo, la durata della fase di riposo tende ad accorciarsi con l’andare dell’età, ma non solo. Oltre alla quantità del sonno, anche la qualità diminuisce, a causa di numerosi fattori psicologici, neurologici e fisici. 

Con l’arrivo della terza età si tende inoltre a distribuire il sonno in maniera differente: si preferiscono riposini pomeridiani e si ha la tendenza ad andare a dormire prima e a svegliarsi presto.

Uno dei motivi per cui questo si verifica è dovuto alla diminuzione della secrezione della melatonina, l’ormone che è in grado di farci dormire fino a 8 ore anche se dopo 4 ore non si è più stanchi.

Questa diminuzione è la responsabile del sonno discontinuo e quindi dei ripetuti risvegli durante la notte, condizione che può portare l’anziano in un vero e proprio stato di agitazione nel corso della notte, mettendo ulteriormente a rischio la sua salute.

In questo articolo faremo un rapido excursus sui disturbi del sonno negli anziani e su come affrontarli e prevenirli, in quanto una buona qualità del sonno è essenziale per il benessere dell’anziano.

Disturbi del sonno negli anziani: quali sono le cause di un riposo travagliato

I motivi per cui il sonno degli anziani può essere disturbato e non soddisfacente sono molteplici.

In primo luogo abbiamo i disturbi del sonno veri e propri, come ad esempio:

  • l’insonnia, è quello più frequente e consiste nella difficoltà di prendere sonno o dormire per un numero di ore sufficiente;
  • l’ipersonnia, al contrario è caratterizzata dall’eccessiva sonnolenza diurna;
  • la narcolessia, è una forma di ipersonnia primaria ed è causata dall’alterazione dei centri nervosi che si occupano della regolazione del ciclo sonno – veglia;
  • la sindrome delle apnee notturne, per apnea si intende una pausa respiratoria di almeno 10 secondi dovuta a un collasso delle vie respiratorie superiori;
  • il sonnambulismo, consiste nell’esecuzione di movimenti complessi durante uno stato di dissociazione fra il sonno e la veglia.

Si tratta quindi di disturbi che influiscono sia sulla capacità di addormentarsi che rimanere addormentati, peggiorando quindi la qualità del sonno.

Tra quelli citati, l’insonnia è senza dubbio il problema più frequente negli anziani e trova spesso origine in condizioni di natura psicologica come la depressione, lo stress, l’irascibilità e l’ansia.

Oltre ai classici disturbi del sonno, esistono poi numerosi fattori fisici che possono peggiorare sensibilmente la qualità del riposo, come dolori cronici, muscolari e articolari, e le malattie dell’apparato urinario, come le prostatiti, che causano una minzione frequente anche di notte, frammentando il riposo.

La mancanza di sonno, oltre a provocare un senso di stanchezza e irritabilità durante la giornata, rischia di impattare in modo molto negativo sulla qualità di vita dell’anziano.

Come riconoscere i disturbi del sonno negli anziani

Un calo nella qualità e nella quantità del riposo è considerato normale nelle persone anziane, ma è bene tenere sotto controllo questo peggioramento.

È abbastanza frequente, infatti, che questo causi uno stato di agitazione e iperattività nell’anziano, oltre a provocare uno scompenso sempre più profondo del ciclo sonno-veglia, in quanto capita spesso che gli anziani siano in attività in piena notte; questa condizione è molto pericolosa, perché aumenta in maniera notevole il rischio di incorrere in incidenti domestici.

Ecco perché è importante non sottovalutare i segnali e intraprendere un giusto iter diagnostico, che porterà ad un’efficace gestione e cura del disturbo.

Lo strumento diagnostico per eccellenza in questi casi è la polisonnografia, che viene utilizzata per rilevare i disturbi del sonno e viene eseguita di notte, mentre il paziente dorme. L’indagine può essere effettuata attraverso due tipologie di polisonnografia: cardio-respiratoria o neurologica.

La prima, attraverso il monitoraggio cardio respiratorio, viene utilizzata per diagnosticare la Sindrome delle Apnee Notturne (OSAS). La seconda aggiunge alla precedente l’elettroencefalogramma e il monitoraggio dell’attività nervosa e cerebrale durante il sonno. Questa consente di individuare le patologie del sonno a livello di sistema nervoso come le apnee centrali, epilessia, insonnia, ecc. Entrambe le tipologie di indagine vengono effettuate in ambiente controllato presso i centri ospedalieri attrezzati.

I disturbi del sonno negli anziani: come gestirli

In presenza di disturbi del sonno negli anziani, quali sono i metodi per una gestione efficace del problema?

Purtroppo l’approccio che si tende ad utilizzare di più è quello farmacologico, perché l’anziano si rivolge in prima battuta al medico di famiglia e prescrivere un farmaco sembra la soluzione più immediata per dare sollievo.

In realtà, ricorrere alle benzodiazepine, i farmaci più comuni per trattare questi disturbi, può da una parte migliorare il sonno nel breve periodo, ma dall’altra rischia di causare o peggiorare disturbi cognitivi pre-esistenti o addirittura di aumentare il pericolo di cadute.

Nella nostra esperienza di assistenza domiciliare per anziani, prima di ricorrere ai farmaci consigliamo sempre di praticare una corretta igiene del sonno.

È per questo che i nostri operatori supportano i loro assistiti nella creazione di sane abitudini che possano aiutarli a ridurre al massimo i disturbi del sonno, senza ricorrere ai farmaci.

Ecco quali sono i suggerimenti più utili per una buona igiene del sonno;

  • evitare l’utilizzo di display luminosi, come cellulari e tablet, prima di andare a letto;
  • nel caso in cui sia necessario utilizzarli, farlo con lenti anti-luce blu;
  • cercare di alzarsi e coricarsi allo stesso orario;
  • non dormire troppo durante il giorno;
  • non fare attività fisica in tarda serata;
  • limitare al massimo il consumo di bevande nervine;
  • consumare un pasto leggero la sera.

Anche se è bene evitare l’attività fisica la sera, è invece più che consigliato fare attività la mattina e il pomeriggio, in particolar modo all’aperto.

L’esposizione alla luce solare ha molti benefici, perché permette all’orologio biologico interno di sincronizzarsi con il ciclo di luce e di buio, in modo da avere meno difficoltà ad addormentarsi quando è notte. 

È dunque essenziale impostare la giornata in modo che sia il più attiva possibile ed evitare pennichelle pomeridiane o eccessiva pigrizia.

Creando una serie di abitudini regolari, il corpo sarà molto più incline a rilassarsi a fine giornata, favorendo l’addormentamento e un riposo più sereno.

Sindrome da burnout nel caregiver: come riconoscerla e come comportarsi

sindrome da burnout caregiver

La Sindrome da Burnout è definita anche la sindrome del Caregiver perché colpisce principalmente le professioni di aiuto. Questo termine fa riferimento ad uno stato di esaurimento emotivo, fisico e morale spesso causato da un carico eccessivo di stress, tipico di chi si prende cura di persone più fragili.

Il burnout nel caregiver riconosciuto come malattia

Nel 2019 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto il Burnout come “sindrome” e come tale rientra nell’International Classification of Disease, il riferimento globale delle patologie. La Sindrome da Burnout diventa conclamata nel momento in cui si verifica uno stato cronico di stress causato dal proprio lavoro.

I ritmi intensi, le numerose richieste e responsabilità lavorative determinano spesso un importante investimento di energie e risorse che come risultato provocano questa forma di esaurimento. Questo sovraccarico, fisico ed emotivo, può produrre sensazioni di frustrazione e rabbia, che possono influire in maniera negativa anche sulla persona malata da accudire.

Tale Sindrome è molto diffusa tra i caregiver in quanto, come è noto, svolgono un lavoro difficile e con un grande coinvolgimento emotivo, in particolare se il paziente è un membro della famiglia. Questa si presenta nel momento in cui il soggetto si sente sopraffatto e privo di energie e con l’andare del tempo lo stress aumenta e si comincia a perdere interesse verso stimoli emotivi e sociali.

Burnout nel caregiver: come riconoscerlo?

Certo è che non è semplice riconoscere i campanelli di allarme che il corpo invia, ma è vero anche che il burnout non si manifesta da un giorno ad un altro, ma è il risultato di un processo graduale che si sviluppa nel tempo. Non stiamo quindi parlando di episodi di stress e malessere sporadici, ma di veri e propri trend che si ripetono per molto tempo, almeno per qualche mese.

I segnali a cui prestare attenzione per capire se c’è una sindrome da burnout in corso sono i seguenti:

  • ogni giorno viene percepito come una giornata negativa;
  • prendersi cura della persona viene percepito come uno spreco di tempo;
  • costante sensazione di malessere e stanchezza;
  • senso di noia costante;
  • sensazioni di demotivazione, fallimento e impotenza;
  • emicranie frequenti;
  • calo dell’autostima;
  • tendenza a isolarsi e a rifiutare il contatto con famiglia e a amici.

Nei casi più gravi, questa sindrome può portare a sviluppare anche disturbi del comportamento alimentare o dipendenze da farmaci, sostanze stupefacenti e alcol.

Come affrontare la sindrome da burnout nel caregiver

Non sempre è facile per il caregiver riconoscere di aver bisogno di aiuto, ancor meno richiederlo. Stiamo parlando di una categoria che si occupa di persone fragili e bisognose e che quindi tende a mettere sempre in relazione i propri problemi con quelli della persona che assiste, che al confronto sembrano inezie.

È molto facile per queste persone trascurarsi, non prendersi cura del proprio equilibrio psico-fisico, perché il benessere dell’assistito viene prima di qualunque cosa, specie se si tratta di persone non autosufficienti o con malattie in fase terminale.

Tuttavia, se questo atteggiamento si protrae per troppo tempo, incorrere nella sindrome da burnout è inevitabile, con conseguenze disastrose non solo per il caregiver, ma anche e soprattutto per la persona che accudisce.

Per questo, in casi del genere, è necessario un supporto psicologico mirato a favore del caregiver. Spesso, però, non è facile far accettare questa necessità all’operatore, perché il sentimento che si scatena immediatamente è la colpa per l’abbandono momentaneo del servizio, che porta con sé anche sensazioni di fallimento e di inadeguatezza.

È fondamentale in questo senso il supporto della rete sociale, per alleviare questo senso di colpa e far capire al caregiver che, prendendosi cura di se stesso, riuscirà ad offrire un servizio migliore anche al suo assistito.

È quindi di estrema importanza prendere consapevolezza del disagio che si sta vivendo e capire l’origine del problema per dire stop allo stress e iniziare un percorso che aiuterà a ristabilire un rapporto sano con il proprio lavoro. Questo è un primo grande passo verso la luce del tunnel del burnout, per poi riacquistare, passo dopo passo, l’equilibrio interiore.

Come prevenire il burnout nei caregiver: il metodo di Sant’Anna 1984

Noi di Sant’Anna 1984 siamo ben consapevoli dei rischi a cui i nostri caregiver sono esposti nello svolgimento del loro ruolo di operatori domiciliari. Per questo, il nostro approccio è orientato alla prevenzione del burnout, con varie metodologie.

Prima di tutto, organizziamo sedute individuali con lo psicologo aziendale con cadenza periodica, in modo che tutti gli operatori possano confrontarsi con un professionista e sfogare eventuali disagi.

Oltre a questo, ogni operatore ha un supervisore dedicato pronto a raccogliere qualsiasi tipo di necessità, materiale o emotiva, per fare in modo che il caregiver si trovi sempre nelle condizioni di lavoro ottimale.

Puntiamo inoltre moltissimo sul gruppo, attraverso attività di team building che possano aiutare gli operatori a sentirsi parte di un gruppo unito, condividendo problemi e ansie comuni con i propri colleghi.

Infine, favoriamo un clima di lavoro sereno e rilassato anche la certezza del posto di lavoro e del versamento puntuale dello stipendio.

In generale, incoraggiamo sempre i nostri operatori a:

  • ascoltare il proprio corpo e rispettare le proprie esigenze quali sonno, alimentazione e attività fisica;
  • definire le priorità, quando la mole di lavoro diventa eccessiva;
  • adottare un atteggiamento proattivo;
  • condurre uno stile di vita sano.

Rivolgersi quindi a Sant’Anna 1984 vuol dire affidare i propri cari alle cure di operatori sereni ed equilibrati, in grado di prendersi cura al meglio dei loro assistiti.

Come contrastare la perdita di memoria negli anziani

Come contrastare la perdita di memoria negli anziani

Sono molteplici le cause legate alla perdita della memoria, sia a lungo termine sia a breve termine ed è possibile affermare che tutte dipendono dall’età e dai vari problemi legati ad essa.

È noto che, con l’avanzare dell’età, sia la capacità di apprendimento sia la qualità della memoria tendano a deteriorarsi. Questa condizione si verifica anche in totale assenza di patologie gravi.

La perdita della memoria, però, può essere anche il risultato di problemi emotivi, come aver perso una persona cara o sentire la propria socialità venire meno. Questo processo è continuo e irreversibile, ma alcune tecniche possono aiutare gli anziani a tenere allenata la memoria, rallentando in maniera notevole il processo fisiologico di deterioramento.

Come prevenire la perdita di memoria nelle persone anziane

Per decelerare o prevenire la progressione dei disturbi della memoria sono necessari:

  • una corretta alimentazione;
  • un rapporto adeguato sogno/veglia;
  • attività fisica costante;
  • vita sociale attiva e soddisfacente.

Il cervello, proprio come tutti gli altri muscoli, ha bisogno di essere allenato: più viene impegnato e più facilmente resterà in forma nel tempo. Tra gli strumenti più prestanti e importanti troviamo la stimolazione cognitiva, che consiste in una serie di tecniche volte ad allenare e rafforzare le capacità cognitive del paziente.

Attenzione, linguaggio, memoria e funzioni esecutive rientrano tra queste. Tutte le tecniche utilizzate dalla stimolazione cognitiva fanno parte di un protocollo specifico e finalizzato alle esigenze del paziente. Questo significa che praticarle in assenza di supervisione può portare ad un risultato opposto.

Anziani e perdita di memoria: soluzioni tecnologiche e nuovi strumenti

La riabilitazione neurocognitiva rientra tra le soluzioni tecnologiche più utili per migliorare la memoria negli anziani. Questa fa riferimento ad una metodologia basata sulle recenti conquiste in campo tecnologico, mirate al ripristino della plasticità cerebrale.

Lo scopo è ottenere una stimolazione sufficiente a compensare i deficit, cosa che avviene mediante un approccio personalizzato per il singolo paziente. A sostegno di questa pratica, sono stati progettati diversi software, con l’obiettivo di migliorare la memoria dell’anziano attraverso l’uso di computer o tablet, in autonomia o con il supporto di un assistente.

Tra le ultime scoperte scientifiche troviamo inoltre la stimolazione magnetica transcranica, una tecnologia volta ad aiutare i pazienti affetti da morbo di Alzheimer a contrastare la progressiva perdita di memoria.

La stimolazione magnetica transcranica (TMS) è basata sul principio dell’induzione magnetica, che permette di stimolare o inibire l’attività neuronale di specifiche aree cerebrali. Lo strumento deputato a questa terapia genera campi magnetici indirizzati verso il cervello della persona, che si trasformano in impulsi elettrici in grado di stimolare la riattivazione di connessioni esistenti tra neuroni e sinapsi.

L’obiettivo ultimo è quello di migliorare la memoria dell’anziano; in particolare i ricercatori si sono concentrati su una specifica rete neurale, indicata con il nome di default mode network. Si tratta di una regione collocata in una zona centrale e profonda del cervello, connessa con l’ippocampo, altra area critica quando si parla di Alzheimer e disturbi legati alla memoria.

Ma è bene puntualizzare che ogni trattamento utilizzato per la cura della perdita della memoria dipende dalla causa scatenante. Infatti, essendo ogni paziente a sé, è sempre opportuna e consigliata la supervisione di esperti nel settore. In questa ottica, possono essere di grande aiuto gli assistenti domiciliari.

Anziani e perdita di memoria: il ruolo della famiglia

È senza dubbio possibile prevenire o limitare il decadimento della memoria, ma per farlo è importante adottare le giuste misure per evitare di peggiorare o aggravare del tutto la situazione.

In questo percorso anche la famiglia svolge un ruolo importante: infatti mettere in atto alcuni accorgimenti può contribuire a ricreare un’atmosfera positiva e stimolante, che ha un effetto benefico sulla capacità mnemonica.

In particolare è bene che i familiari adottino i seguenti comportamenti:

  • utilizzare una comunicazione stimolante volta a sollecitare l’attività cognitiva dell’anziano;
  • preferire un linguaggio lento e chiaro, facendo prevalere un tono pacato per evitare agitazioni futili;
  • usare frasi brevi e semplici, evitando metafore e giochi di parole;
  • lasciare il giusto tempo per ricevere risposta.

Gentilezza e pazienza devono essere i protagonisti delle relazioni con i più fragili.

Con il passare del tempo e l’aumentare del decadimento cognitivo, le giornate iniziano ad essere sempre più impegnative per gli anziani, perché cominciano a dimenticarsi di lavarsi e persino a cosa servono o come si usano strumenti come spazzolino, pettine o spugna. Non si ricordano se hanno già svolto le mansioni igieniche durante la giornata e finiscono per perdere l’interesse e la motivazione per la cura di sé.

Quando la famiglia si rende conto che non è in grado di occuparsi in maniera diretta dell’anziano, l’assistenza di personale specializzato diventa essenziale, ma questo non implica in modo diretto che l’anziano sia disposto ad accettare l’aiuto; infatti, spesso lo rifiuta e si oppone all’idea di un estraneo che lo assista nelle sue mansioni private.

Ciò è del tutto normale e comprensibile, per questo un assistente deve essere preparato a rispettare l’indipendenza dell’assistito, non prendendo il suo posto, ma completando le sue azioni in relazione alle sue possibilità.

Anziani e perdita di memoria: il sostegno dell’assistenza domiciliare di Sant’Anna 1984

Avere in casa un operatore socio-assistenziale significa poter contare sull’aiuto di una figura esperta e formata per ogni evenienza. Anche nel caso di un assistito con problemi di memoria, i nostri operatori sono in grado di aiutare l’anziano non autosufficiente.

Affidarsi ad una cooperativa come la nostra implica quindi convenienza e rassicurazione. Ogni giorno ci preoccupiamo di fornire un sostegno essenziale alla categoria più fragile della società. Sant’Anna 1984 è una grande famiglia che pone sempre al centro le esigenze dell’assistito.

La tutela degli anziani in difficoltà economiche: come funziona?

la tutela degli anziani in difficoltà economica

Tra i paesi Europei, l’Italia è il paese con la maggiore percentuale di anziani: infatti il 21,4% della popolazione ha più di 65 anni e il 6,4% ne ha più di 80. Diventare anziani viene associato al diventare nonni, ma, purtroppo, non implica solo questo. Invecchiare significa ridurre o cessare la propria attività lavorativa, così come le capacità di svolgere le attività quotidiane e, infine, sempre nuovi disturbi e disabilità si fanno strada di giorno in giorno. 

Di pari passo con l’avanzare dell’età cresce quindi il bisogno, in gran parte dei casi, di dover ricevere cure e assistenza giornaliera. Le soluzioni a disposizione delle famiglie sono di solito due: il ricovero in una RSA, spesso molto mal tollerato dagli anziani, o l’assistenza domiciliare.

È chiaro che si tratta di servizi a pagamento, non compresi nel welfare nazionale, che spesso gli anziani non sono in grado di sostenere in modo autonomo. Nei casi in cui l’anziano non ha un’entrata sufficiente per coprire le spese della badante, non esistono bonus o aiuti statali a cui poter fare ricorso, ma dovranno essere i familiari stretti a farsi carico delle spese.

Anziani in difficoltà economiche: è la Legge a tutelarli 

Sopperire al carico economico di un’assistenza domiciliare da parte dei familiari non è da intendersi come un atto di bontà o moralità, ma un obbligo, in quanto è la Legge che lo prevede in modo espresso. Il Codice Civile, attraverso le sue disposizioni, riconosce ai figli l’obbligo di prestare sostegno morale e materiale ai genitori anziani e non autosufficienti.

Questo obbligo scatta in automatico nel momento in cui anche l’altro genitore è indigente o invalido e quindi non è, in quel momento, in grado di prendersene cura. La Legge, quindi, obbliga i figli a predisporre un assegno alimentare e di sostegno, per sostenere e tutelare l’anziano e provvedere alle quotidiane incombenze.

Nel caso in cui la famiglia sia costituita da più figli, tutti sono chiamati a contribuire in base alle loro rispettive condizioni economiche. In questo modo la spesa della badante non ricadrà su un singolo soggetto, ma verrà ripartita per quanti sono i figli e in base alle disponibilità reddituali di ognuno: chi guadagna di più contribuirà in modo maggiore. In questo modo ogni figlio può contribuire in base alle proprie capacità.

Se si verificano casi in cui nessun figlio ha intenzione di partecipare alle spese, o la spesa ricade tutta su un solo figlio, allora è possibile fare ricorso a vie legali. Colui che decide di non partecipare, laddove è chiamato a farlo, commette un reato che può essere denunciato alle autorità competenti.

Infatti, il codice penale stabilisce il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, per il quale è prevista la reclusione fino ad un anno o una multa economica.

Anziani in difficoltà economiche: quanto costa una badante e quanto può incidere sul bilancio familiare questa spesa

Una volta stabilito chi deve contribuire all’assistenza dell’anziano, è necessario costituire il rapporto di lavoro con la badante tramite l’apposito contratto collettivo nazionale di lavoro per gli assistenti familiari.

Per stabilire il salario della badante bisogna tenere presenti diverse opzioni:

  • badanti di lungo orario, con contratto di 8 ore al giorno;
  • badanti conviventi;
  • badanti part-time, 2 o 4 ore al giorno.

Sulla base di queste differenze e in relazione alle attività che ci sono da svolgere con l’assistito, viene stabilito uno stipendio, non tralasciando il fatto che, quando si assume una badante convivente, devono essere compresi vitto e alloggio, salvo la previsione di un’ulteriore integrazione salariale.

Sulla base delle attuali condizioni di mercato, la retribuzione media di una badante di lungo orario o convivente va da 800 a 1100 euro al mese

A questa cifra è necessario aggiungere:

  •  tredicesime;
  •  TFR;
  •  contributi previdenziali;
  •  un mese di ferie retribuito ogni anno;
  •  un giorno e mezzo di riposo alla settimana;
  •  due ore di libera uscita nei restanti 5 giorni.

È chiaro che, per una famiglia, gestire in maniera autonoma tutta questa parte burocratica può diventare un impegno faticoso. Per cui, in questi casi, è bene liberarsi e affidarsi ad una realtà strutturata che può sopperire a tutte queste pratiche.

Noi di Sant’Anna 1984 non solo ci facciamo carico della parte burocratica, ma grazie alla nostra struttura organizzativa non lasciamo nessun periodo dell’anno scoperto. Siamo noi a garantire al nostro personale le ferie e i permessi, assicurando allo stesso tempo alle famiglie l’erogazione costante del servizio.

Assunzione badante tramite contratto e agevolazioni fiscali

Le famiglie che assumono una badante tramite un regolare contratto di lavoro hanno diritto ad una detrazione fiscale pari al 19% su una spesa massima di 2.100 euro complessivi.

Questo significa che se le persone assistite sono più di una, il limite resta comunque quello di 2.100 per tutte e non per ciascuna di loro.

In questo modo il massimo sconto che si potrà ottenere dalle tasse sarà di 399 euro all’anno, detrazione che spetta a chi ha un reddito complessivo lordo inferiore ai 40.000 euro annui.

Ma è anche importante per riconoscere questo lavoro come tale, cercando di abolire l’associazione che ancora spesso si fa ‘badante-schiavitù’. È per questo che noi di Sant’Anna 1984 ci preoccupiamo di tutelare tanto le famiglie quanto le badanti e tutti i membri del nostro staff.

Estate e anziani: ecco come proteggerli dalle ondate di calore

estate e anziani come proteggerli dalle ondate di calore

Estate e anziani sono un binomio spesso molto problematico. La stagione del gran caldo è arrivata: le temperature raggiungono i loro massimi livelli, le piogge diminuiscono e le giornate si allungano.

E se è vero che il bel tempo e le alte temperature permettono al nostro organismo di vivere in condizioni di minore stress rispetto ad altri periodi dell’anno, e altrettanto vero che, in condizioni particolari, il clima estivo e l’eccessivo caldo possono mettere in pericolo la salute delle persone più anziane. 

Per riuscire a combattere in maniera efficace gli effetti provocati dalle ondate di calore è opportuno quindi conoscere i provvedimenti da adottare per proteggere le persone più a rischio.

Anziani e estate: consigli pratici per affrontare il caldo al meglio

Uno dei principali motivi per cui gli anziani soffrono maggiormente le conseguenze del caldo torrido è la difficoltà che il loro corpo affronta nel regolare la temperatura corporea attraverso la sudorazione; questo meccanismo tende a diventare molto meno efficiente con l’avanzare dell’età.

Una serie di semplici abitudini e di misure di prevenzione possono contribuire a ridurre le conseguenze negative delle ondate di calore.

Per prima cosa è bene chiarire che non bisogna rinunciare alle passeggiate o agli svaghi all’aperto, che sono fondamentali per mantenere una buona salute, ma bisogna avere l’accortezza di non uscire nelle ore più calde della giornata. L’ideale è sfruttare le prime ore del mattino oppure la frescura della sera.

Purtroppo capita di frequente che gli anziani rinuncino ad uscire durante l’estate, ma questo è più deleterio che utile, soprattutto in presenza di patologie croniche come diabete, disturbi cardiovascolari e ipertensione; in questi casi, la sedentarietà potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione.

Nel caso in cui ci sia paura nell’affrontare l’attività fisica all’aperto, è sempre una buona idea non lasciare gli anziani da soli, ma accompagnarli in una passeggiata o un’attività ricreativa come la pesca o il giardinaggio.

Anche la scelta dell’abbigliamento è molto importante. Molti anziani tendono a coprirsi molto anche d’estate, ma in realtà la cosa migliore è indossare abiti leggeri e traspiranti, in fibre naturali, come il cotone e il lino, che mantengono la pelle asciutta e fresca. Assolutamente da evitare sono invece le fibre sintetiche.

È consigliabile quindi uscire nelle ore meno calde, ma come regolarsi per la temperatura in casa? L’ideale sarebbe mantenere l’ambiente tra i 24 e i 26°, sfruttando le ore notturne e la mattina presto per far areare le stanze e impedendo poi ai raggi del sole di scaldare troppo la casa durante il giorno. Nel caso in cui l’abitazione sia dotata di climatizzatore, è importante che lo sbalzo termico tra interno ed esterno non sia superiore ai 5 gradi, altrimenti si potrebbe incorrere nel rischio di uno shock termico, potenzialmente molto pericoloso per una persona anziana.

Infine, un valido alleato contro la calura estiva è senza dubbio l’alimentazione. Per prima cosa è bene assicurarsi che l’idratazione sia sempre ottima, con un adeguato apporto di acqua, bevande fresche non gassate e non zuccherate, frutta e verdura.

Per agevolare poi la digestione, che può essere rallentata dal caldo, è molto utile suddividere l’apporto calorico in 5 piccoli pasti, più leggeri e preparati con alimenti freschi.

È inoltre importante evitare i cibi troppo grassi e i piatti troppo elaborati, ma limitarsi a consumare pasti semplici ma equilibrati nei nutrienti.

Anziani e estate: attenzione alla disidratazione

Abbiamo detto che mantenere una corretta idratazione è una delle difese migliori che gli anziani possono avere durante la stagione calda. Le evidenze però ci dicono che è davvero difficile raggiungere questo risultato: da un lato c’è la naturale tendenza degli anziani a bere poco e dall’altra ci sono le condizioni atmosferiche che aumentano ancora di più il rischio di disidratazione.

Durante l’estate il corpo necessita di regolare la propria temperatura attraverso il sudore corporeo, ma, se queste perdite non vengono colmate tramite l’alimentazione, si può rischiare di instaurare uno stato di disidratazione.

Quest’ultima può manifestarsi con:

  • sete intensa;
  • stanchezza e sonnolenza;
  • un’insolita irritabilità;
  • confusione mentale;
  • riduzione dell’elasticità della cute ;
  • secchezza delle mucose;
  • ipotensione arteriosa.

Per evitare di correre questo rischio, è importante che chi si prende cura dell’anziano si ricordi di vigilare sul livello di assunzione di liquidi più volte durante l’arco della giornata. Proporre bevande alternative all’acqua, quali tè o succhi e alimenti ricchi di acqua come l’anguria, può essere una valida idea per agevolare un corretto apporto di liquidi.

Anziani e estate: il metodo Sant’Anna 1984 per combattere la solitudine

La solitudine degli anziani è una condizione molto diffusa che, però, può con facilità trasformarsi in patologia o depressione, soprattutto con l’arrivo della stagione estiva.

Con l’arrivo della bella stagione e delle belle giornate arrivano anche le gite fuori porta e le vacanze, e spesso le famiglie si trovano costrette a lasciare i membri più anziani della famiglia da soli o in strutture specializzate.

Viaggiare con persone anziane, specie se hanno bisogno di cure e attenzioni particolari, non è semplice, quindi nella maggior parte dei casi si tende a lasciarli a casa, spesso e volentieri da soli.

In quest’ottica, il nostro servizio di assistenza domiciliare è la risposta perfetta al problema, perché consente all’anziano di ottenere tutte le cure necessarie presso il proprio domicilio e anche di avere compagnia durante la giornata.

I nostri operatori hanno la formazione necessaria per assistere gli anziani in ogni circostanza, prendendosi cura del loro benessere psico-fisico a tutti i livelli. Nello specifico si assicurano che siano in salute, che consumino pasti sani e regolari, che facciano movimento nelle ore più idonee e che assumano la giusta quantità di liquidi.

Si tratta di una presenza delicata ma solida, che è in grado di fare la differenza tra una vecchiaia trascurata e una vita piena e dignitosa.

Con i nostri angeli, gli anziani sono in ottime mani e affrontano con serenità le sfide della stagione estiva.